·
Euripide Medea
Vv222-224: “ma è bene che uno straniero in particolare si
adatti alla città”
vv536-541: “innanzi tutto, abiti la terra greca anziché in
un paese barbaro e conosci la giustizia e sai servirti delle leggi senza
ricorrere alla forza; poi tutti i greci hanno saputo che sei sapiente
e ne hai ricevuto fama: se avessi abitato una terra agli estremi confini
del mondo non si sarebbe parlato di te.”
Trama
Medea e Giasone, dopo la conquista del vello d’oro, risiedono con
i figli a Corinto. Giasone, però, sta per ripudiare la moglie per
sposare Glauce, la figlia di Creonte, re della città. Medea, temuta
per le sue arti magiche, viene espulsa per ordine del re, ma riesce a
rimandare di un giorno la partenza, in modo da poter attuare la propria
vendetta. In un denso scontro verbale, in cui Euripide utilizza la più
raffinata tecnica retorica, marito e moglie mostrano la totale inconciliabilità
delle rispettive motivazioni: da un lato la donna sottolinea la propria
totale dedizione e il patto d’amore tradito, dall’altro l’eroe
contrappone la logica politica. Medea, dopo essersi garantita l’ospitalità
di Egeo, re d’Atene, mette in atto il suo tragico proposito: finge
di rappacificarsi con Giasone e fa portare dai figli, come doni alla sposa,
una corona e un peplo. L’arrivo di un messo informa il pubblico
che da quegli oggetti si sono sprigionate fiamme che hanno ucciso fra
atroci dolori sia Glauce sia il padre Creonte. La vendetta, per essere
totale, richiede però anche l’uccisione dei figli nati dall’unione
con Giasone; questi si precipita furioso contro Medea, ma non può
che apprendere di quest’ultimo tremendo delitto e vedere la maga
salire verso il cielo sul carro del Sole portando con sé i corpi
delle proprie creature, negandone all’eroe anche la sepoltura.
Medea
non è una figura indiscutibilmente negativa. Essa è la personificazione
dello scontro tra la cultura Greca e le diverse e molteplici culture “barbare”
secondo una definizione piuttosto semplicistica e riduttiva utilizzata
dagli stessi greci. Medea è una donna che si trova all’improvviso
in conflitto con un mondo, una cultura, usi e costumi diversi che non
capisce e che non può accettare. Questa donna non riesce a comprendere
le consuetudini greche riguardo ai doveri coniugali e alla concezione
delle donne. Si aspetterebbe di ricevere eterna riconoscenza da Giasone
per averlo aiutato nelle sue imprese alla conquista del vello d’oro
e invece ne ricava di essere abbandonata dall’uomo che ama dopo
averlo seguito sola in terra straniera. Giasone a sua volta è nell’impossibilità
di comprendere lo sdegno di Medea perché per una donna greca sarebbe
probabilmente stato impensabile ribellarsi al marito e quindi non accettare
le sue decisioni in ambito coniugale. Per la reazione di violenta vendetta
che ha davanti alla sventura di essere abbandonata dal marito per un’altra
donna, Medea non merita giustificazioni né potrebbe riceverne da
qualsiasi altra cultura o civiltà. Tuttavia la tragedia non nasce
da una malvagità unilaterale ma da una reciproca e forse inevitabile,
in un mondo così pieno di sé come quello greco, incomprensione
tra due diverse scale di valori.
Analisi
psicologica di Giasone
Sembrerebbe
il classico eroe mitico, invece in Giasone si specchia la concezione greca
dell’uomo, ma soprattutto del matrimonio e dei doveri verso la moglie.
La psicologia di Giasone è quella di un perfetto uomo greco che
fa il suo interesse politico ed economico, lasciando tranquillamente in
secondo piano non tanto la famiglia, quanto la prima moglie.
Giasone rinfaccia a Medea la superiorità della grecità sulla
barbarie. Ma così facendo egli non fa che esprimere il senso comune
del pubblico: effettivamente nessun ateniese avrebbe dubitato dell’inciviltà
e dell’inferiorità naturale dei barbari. L’aspetto
più inquietante è forse proprio questo: Giasone esprime
la mentalità del pubblico, è un uomo normale, è greco,
familiare, ma ha torto ed esce sconfitto dalla contesa con Medea. Al contrario
Medea è donna, barbara, minacciosa, irrazionale ed oscura, rappresenta
tutto ciò che non è ben accetto: ma il buon diritto è
dalla sua parte ed esce vincitrice. Euripide, quindi, mette fortemente
in discussione i fondamenti stessi della vita sociale ateniese.
Analisi psicologica di Medea
Medea
non è greca e ha ben altre concezioni del matrimonio e della vita
coniugale, rispetto a Giasone. Lei non è disposta a tollerare di
essere solo una concubina ai voleri di Giasone, e si sente tradita, poiché
i favori che gli ha reso nella conquista del vello d’oro non le
sembrano degni di tale sgarbo. Medea ha abbandonato i suoi parenti e la
sua terra per seguire Giasone, e adesso il suo mondo crolla, ritrovandosi
sola, in terra straniera, relegata ad una funzione sociale che non le
va per niente bene e che non riesce ad accettare e a capire. Probabilmente
una qualsiasi altra donna greca avrebbe accettato tranquillamente il fatto
di diventare una concubina del marito, ma in Medea non ci sono i presupposti
culturali per tale sottomissione, e la sua reazione è al contrario
forte e violenta, tale da provocare un’altra serie d’incomprensioni
da parte del marito che non afferra l’idea di una così dura
ribellione di una donna al volere maschile.
Secondo Giasone Medea ha in realtà ottenuto più di quanto
abbia dato: pur essendo barbara, ora abita in Grecia dove ha imparato
a conoscere la civiltà e le leggi; vivendo in mezzo alla civiltà
anziché ai confini del mondo ha conquistato la fama per la propria
sapienza. Ancora una volta il discorso fa leva sul senso comune di una
polis tanto cosmopolita quanto xenofoba: il disprezzo per il barbaro fa
parte, dopo le guerre persiane, del bagaglio ideologico di ogni ateniese,
le leggi erano diventate così restrittive che il figlio di un ateniese
e di una donna straniera non aveva accesso alla cittadinanza. In questo
contesto il solo fatto di aver dato a Medea la possibilità di vivere
in Grecia doveva apparire come un merito non da poco per il pubblico.
Ella non può che essere riconoscente.
Condizione
di esule
La
condizione di esule a cui Medea si appella è una condizione di
debolezza, di dipendenza, ma viene usata come strumento per conquistarsi
il consenso del coro. È anche un infinito rimandare altrove: Medea
è esule a Corinto dalla Colchide, ma da Corinto viene esiliata
e spera di trovare un’altra terra che la ospiti. L’esilio
sembra essere una sua realtà permanente, una sorta di natura profonda
del personaggio. La condizione di esule, inoltre, si somma e si confonde
con quella di straniera, continuamente evocata, prima come un semplice
dato di fatto, poi con un crescendo di riferimenti agli aspetti sinistri,
“barbarici”, quali il culto di Ecate e l’abilità
nel preparare veleni.
Essa
quindi pone l’accento sulla sua condizione di straniera, ma la presenta
in maniera a lei più favorevole: Medea sa come integrarsi con il
corpo sociale della città, rendendosi ben accetta con un atteggiamento
allo stesso tempo di riserbo e di rispetto. Medea non è una sconsiderata,
una barbara priva di freni che sfoga la propria indole estrema, ma una
donna capace di argomentazioni composte e sottili, di comportamenti dettati
dalle regole della buona convivenza e dall’adattamento alle circostanze.
L’importanza
di avere una patria
Mentre
Giasone parla della fama importante per la vita umana, e dell’importanza
dell’essere greco, Medea teme di non avere più patria, e
a quel tempo era molto importante avere una patria, perché si viveva
in un mondo profondamente ostile all’uomo, dove la primaria fonte
di difesa dalla natura ma anche dagli altri uomini era la formazione di
una società autosufficiente in cui tutti erano organizzati e avevano
come unico scopo la tutela reciproca. Colui che in un mondo come questo
era escluso dalla polis era un senza-patria. Essere senza patria doveva
essere davvero duro a quel tempo con una donna sola con figli, forse addirittura
impensabile. Medea ha ragione quando teme di rimanere sola in terra straniera,
con l’ostilità di suo marito da un lato e quella della famiglia
che ha abbandonato dall’altro: una donna sola non avrebbe mai potuto
avere un posto nella società greca.
|