Primo
Passo: Un Grande Realismo e Una Grande Irrealtà
Edward Hopper
"L'arte
nasce dall'unione di due elementi: un grande realismo e una grande irrealtà"
Friedrich Nietzsche
La
luce. Luce filtrata dalla mente dell'artista. Luce del colore che costruisce
gli oggetti, i corpi e le sensazioni. L'idea che si percepisce guardando
quelle immagini evoca un sentimento di solitudine, di non comunicazione.
Corpi e visi di persone tristi e silenziose, che indugiano nell'immobilità
del tempo. Nei suoi quadri Hopper ha raggiunto una forma di neutralità
che li lascia aperti a molte interpretazioni, secondo le "possibilità"
di chi li guarda.
Per essere la vita di un'artista, quella di Edward Hopper appare fin
troppo semplice e austera, quasi monotona; nasconde in realtà
una personalità ferma e decisa che gli ha permesso di esercitare
un controllo rigoroso sulla sua arte e, probabilmente, sul mondo che
lo circondava. Apparentemente nessun cambiamento improvviso o nessun
trauma psicologico ne intaccò la placida semplicità. Una
vita trascorsa all' ombra della sua città, New York (a parte
qualche breve soggiorno europeo), nel suo studio, all'ultimo piano di
una vecchia casa di mattoni rossi al n° 3 di Washington Square,
lato nord, nel Village, a Manhattan. Ciononostante la sua carriera artistica
si presenta come una lunga e costante ricerca della sua profonda identità
individuale.
Edward Hopper nacque il 22 luglio 1882 a Nyack, una piccola città
dello stato di New Y ork, sul fiume Hudson, che dista dalla grande metropoli
pochi chilometri. Sangue inglese, gallese e olandese scorreva nelle
sue vene di americano, figlio di una famiglia ben inserita nella ricca,
colta e solida borghesia della cittadina. Il padre, Garrett Henry, aveva
un negozio di tessuti e la madre, Elizabeth Griffiths Smith, era la
nipote del fondatore della locale chiesa battista. Edward aveva una
sorella maggiore di due anni, Marion, che visse tutta la vita a Nyack.
II giovane Hopper trascorreva i suoi pomeriggi a guardare le barche
che transitavano sul fiume Hudson e nei cantieri di Nyack, dimostrando
un precoce interesse per il segno, ma anche per l'ingegneria navale;
all'età di quindici anni costruì persino una barca a vela
in legno che però, e sono le sue stesse parole, "non navigava
molto bene". Negli anni precedenti, sulle sponde di questo stesso
fiume, numerosi e prolifici pittori si erano ritrovati per farsi affascinare
e per riprodurre paesaggi vasti e luminosi: la schiera di artisti americani
che passò alla storia con il nome collettivo di Hudson River
School e che ebbe sicuramente una certa influenza sulla memoria
visiva di Hopper.
Per la sua formazione letteraria Edward ebbe a disposizione la ben fornita
biblioteca patema, che non mancava di romanzieri francesi e russi e
di poeti come Kipling e Coleridge. Nella sua sua casa natale oggi si
trova la sede di una fondazione a lui dedicata, mentre un numero considerevole
dei suoi dipinti, che alla morte, avvenuta nel 1967, erano in suo possesso,
furono donati, per espressa volontà dell'artista al Whitney Museum
of American Art di New York. E' in questo luogo che ancora oggi si possono
ammirare. La preziosa collezione si arricchì anche delle opere
che erano state in possesso della madre, depositaria dei primissimi
lavori. Quando il giovane Edward manifestò le sue inclinazioni
artistiche la famiglia cercò di facilitarIo, indirizzando lo
però verso un tipo di scuola d'arte commerciale, quella dell'illustrazione
pubblicitaria. Fu così che, nel 1899, si iscrisse alla Correspondence
School of Illustrating di New York. Questo indirizzo non avrebbe di
certo assicurato a Hopper un grande prestigio artistico, ma senza dubbio
gli avrebbe consentito di guadagnarsi da vivere dignitosamente. Un anno
dopo si trasferì alla ben più celebre New York School
of Art, per studiare illustrazione. Come ebbe a dichiarare più
volte successivamente, il lavoro di illustratore, svolto contemporaneamente
a quello di pittore, non lo interessò mai veramente, ma non per
questo vi si dedicò con poca serietà o dedizione.
Determinato com'era a seguire la propria strada, nella nuova scuola
cominciò a frequentare i corsi di pittura di maestri del calibro
di Robert Henri, William Merritt Chase e Kenneth Hayes Miller. I suoi
insegnanti erano quanto di più eterogeneo, per stile e metodi,
si potesse immaginare, e forse proprio grazie a questa diversità
riuscirono a fornire agli allievi un vasto orizzonte di sviluppo assecondando
le loro singole potenzialità artistiche. Ma l'insegnante a cui
Hopper si sentiva più legato e di cui conservò sempre
un buon ricordo fu senza dubbio Robert Henri, per cui la pittura non
può essere scissa dalla vita. Herni spingeva i suoi allievi a
cercare nella quotidianità i motivi che avrebbero ispirato le
loro opere. "L'arte mediocre si limita a dire che è notte,
ma la vera arte dà la sensazione della notte. Questa è
vicina alla realtà, l'altra è solo una copia", così
scriveva nel 1923.
Sicuramente con il passare degli anni Hopper si rese conto di quelli
che erano stati i limiti artistici del suo maestro; un profondo disinteresse
per la forma e la linea. Gli fu però sempre riconoscente per
avere da lui imparato l'amore per la realtà e la passione per
i classici della poesia e della letteratura francese come Paul Verlaine,
Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Sotto !'influenza di Henri, Hopper
dava corpo alle sue prime opere. Dipinti in cui prendeva forma uno stile
dalle tonalità scure, atmosfere mutuate dai grandi maestri del
passato come Rembrandt e rivisitate attraverso un taglio moderno, quello
di Manet. In questo periodo apparve, nella sua pittura, un soggetto
che sarà poi sempre presente, il nudo femminile. Il Nudo
che sale sul letto può essere considerato come una meditazione
intorno a un soggetto ripreso in un'attitudine molto intima, con un
occhio vagamente voyeuristico, connotazione del tutto inedita nella
rosa dei nudi eseguiti da Hopper nel primo periodo della sua attività
artistica.
In questo momento Edward lavorava a molti ritratti di persone a lui
vicine e autoritratti. Uno di questi, realizzato tra il 1903 e il 1906,
è un omaggio agli insegnamenti dei suoi maestri; la figura, di
tre quarti, emerge con forza da un fondo scuro, illuminata da una luce
fortemente realistica che mette in risalto i lineamenti belli e forti
di un giovane uomo. L'espressione è però poco comunicativa
e non sembra esserci introspezione psicologica nei tratti del volto.
Uno dei suoi maestri disse una volta che Hopper "è il tipo
di artista a cui non si può insegnare niente: deve imparare da
solo". Questo non significa che Hopper non potesse imparare, infatti
nel periodo degli studi disegnava la figura meglio di qualsiasi altro
allievo.
Una volta conseguito il diploma alla Chase School iniziò la sua
carriera di illustratore presso la C.C. Philips and company, un'agenzia
pubblicitaria di New York, e con i soldi guadagnati grazie a questo
lavoro decise di andare a Parigi: era l'ottobre del 1906. Il viaggio
nella capitale francese ebbe sul pittore un'influenza maggiore di quanto
lui stesso abbia mai ammesso. Da questo momento la sua tavolozza divenne
più chiara e il fenomeno della luce il suo interesse fondamentale.
A Parigi, dove era ospite di una famiglia francese, non frequentò
le scuole, sperimentò l'arte in modo autonomo visitando musei,
mostre e caffè, dipingendo all'aria aperta lungo la Senna, ricalcando
l'esperienza degli impressionisti, assorbendo il loro modo di rendere
la luce. Ritraeva il Louvre, le strade, i ponti che attraversano la
Senna; era la prima volta che si esercitava all'aria aperta. La luminosità
parigina gli sembrava diversa da quella americana, le ombre riflettevano
la luce, come ebbe a dichiarare lui stesso: "(...) La luce era
diversa da qualunque cosa avessi mai visto prima. Le ombre erano luminose:
c'era più luce riflessa. Perfino sotto i ponti c'era una certa
luminosità. Forse perché le nuvole sono più basse,
proprio sopra il tetto delle case".
Nelle lettere scritte alla madre e alla sorella esaltava l'ordine, la
bellezza e l'antichità, della città, al contrario di New
York, una metropoli caotica e persa dietro i ritmi produttivi ed economici.
Parigi viveva in quel periodo un intenso fermento culturale e artistico;
nel 1906 al salon d'Automne Hopper ebbe modo di vedere esposti dieci
dipinti di Paul Cèzanne (che morì in quello stesso anno),
ma non dimostrò mai un vero interesse per l'artista. Grazie a
un suo compagno di studi newyorkesi che abitava a Parigi, e apriva la
sua casa di giovani artisti americani, studiò da vicino la pittura
degli impressionisti. Renoir, Sisley, Monet ed in modo particolare Degas,
furono molto ammirati da Hopper, ma facevano parte di una corrente considerata
oramai superata dai grandi movimenti d'avanguardia come il fauvismo,
il cubismo, o il futurismo, che in Europa avevano
trovato terreno fertile per sviluppare un nuovo tipo d'arte. Edward
non fu mai interessato alle nuove avanguardie artistiche; i dipinti
del periodo francese mostrano il suo debito nei confronti dell'impressionismo,
ma il tema della luce, centro dei suoi interessi, produce risultati
assai distanti da quelli conseguiti dagli stessi impressionisti: un'architettura
delle forme costruite attraverso masse larghe e luminose. Se si confrontano
i suoi primi dipinti, legati al periodo scolastico, dove predominano
colori scuri e quasi monocromatici, con quelli realizzati nel periodo
parigino, si comprende come sia cambiata in breve tempo la tonalità
della sua tavolozza. In questo momento già si percepiscono alcuni
tratti essenziali che caratterizzeranno lo stile maturo di Hopper. Durante
l'estate del 1907 viaggiò attraverso l'Europa, ma non visitò
mai l'Italia, nemmeno durante gli altri soggiorni europei. Visitò
Londra e la National Gallery, Amsterdam dove ebbe modo di ammirare il
quadro di Rembrandt, La ronda di notte, che considerava l'opera
più bella che avesse mai visto, quindi raggiunge Berlino e poi
di nuovo Parigi, e nell'agosto del 1907 tornò a New York. Durante
la sua permanenza a New York, Hopper partecipò alle esposizioni
indette la alcuni suoi colleghi americani che si facevano araldi di
un'arte americana non succube dell'illustre tradizione europea, ma autonoma
sia dal punto di vista stilistico che per i contenuti trattati. Privilegiavano
gli aspetti quotidiani della realtà americana ritraendo la vita,
in alcuni casi squallida, della gente comune. Nel 1909 Edward partì
nuovamente alla volta di Parigi, dove soggiornò alcuni mesi tra
la primavera e l'estate. Fu un viaggio importante, un'esperienza che
confermò le sue predilezioni artistiche. Durante il viaggio Hopper
confermò la sua scelta di un tipo di arte realista, fatta di
suggestioni postimpressioniste ma con uno spiccato interesse per l'architettura
e le forme. Nella sua tavolozza rinascevano i colori chiari, con un
maggior contrasto fra luci e ombre rispetto alle opere del primo viaggio
parigino. Ne sono esempi chiarificatori due oli eseguiti in questo anno.
Il più importante fra i due è "Summer Interior",
dove appare per la prima volta uno dei temi ricorrenti di Hopper, la
solitudine della figura in una stanza. Hopper tornò per l'ultima
volta a Parigi (spostandosi anche in Spagna) nel 1910, dopo di che non
attraversò mai più l'Atlantico.
Il
rientro a New York dopo l'esperienza europea produsse un vero e proprio
shock sul pittore: "Tutto mi sembrava terribilmente rozzo e acerbo,
quando sono tornado. Mi ci sono voluti dieci anni per rimettermi dall'Europa".
L'impatto con la realtà americana causò a Hopper una vera
e propria crisi, forse l'unica della sua vita, durante la quale produsse
dipinti che rivelavano una profonda nostalgia per l'arte e la cultura
francese.
Dal 1916 fino al 1919 Hopper trascorse l'estate a Monhegan Island, nel
Maine, dove dipinse prevalentemente paesaggi, composizioni di rocce
e scogli, impostati su grandi masse sbozzate. Si notano nelle scene
collegamenti e nette separazioni tra natura e civiltà; i soggetti
sono ponti, canali, moli d'attracco e fari. Questa dei paesaggi è
un'anticipazione delle sue future linee di sviluppo. Rappresenta probabilmente
la stazione di una piccola città nel Maine quella riprodotta
nel dipinto dal titolo Small Town Station, eseguito tra il
1918 e il 1920.
Al rientro dalle vacanze estive Hopper conduceva in città la
vita di sempre, ma la città con le sue strade e i suoi misteri
irrompe nell'immaginazione visiva dell'artista. Sappiamo che Hopper
fu molto affascinato dal cinema e dal teatro, e che affrontava la progettazione
di una tela come la messa in scena di un set cinematografico. L'artista
riuscì a dare ai suoi quadri l'unicità di alcune immagini
cinematografiche, pur utilizzando soggetti molto comuni, rendendo le
sue opere evocative e universali. Il cinema in bianco e nero di quegli
anni, fatto di forti contrasti di luce e ombra, gli fu sicuramente d'ispirazione.
Eseguì in questi anni infatti, alcune acqueforti fondamentali
come Evening Wind e Night in the Park, il cui taglio
fotografico ricorda fortemente inquadrature di tipo cinematografico.
Nel 1922
rivide Josephin Verstille Nivison, allieva di Henri, che aveva conosciuto
qualche anno prima e che diventerà la compagna della sua vita.
Il 9 luglio 1924 infatti sposò Jo, fu una decisione improvvisa,
presa in seguito a una banale discussione. Jo era una bella donna dal
carattere vivace; come Edward era molto colta, ma le sue idee rasentavano
spesso l'estremismo. Anche lei dipingeva: "lo dipingo quello che
lui non dipinge", dichiarò in un'intervista. Hopper era
un uomo tranquillo riservato e discreto, che lavorava lontano dai clamori
quasi come un' eremita, rifuggendo i luoghi della mondanità.
La sua vita ruotava interamente intorno alla sua arte e a sua moglie.
Qualche critico che conobbe direttamente la coppia ebbe a dire che probabilmente
fra i due c'era una sorta di concorrenza a livello artistico. L'unica
modella di cui Hopper si servì per i dipinti realizzati dopo
il matrimonio fu Jo, la quale, grazie al suo talento espressivo, riusciva
a calarsi negli innumerevoli personaggi della sua produzione: la sua
donna, una sola donna che diventava ogni donna.
Si
è parlato dei rapporti tra i dipinti di Hopper e le pellicole
cinematografiche di quegli anni, ma si può stabilire un confronto
puntuale tra un'opera di Hopper e l'attività cinematografica
del regista Alfred Hitchcock.
Basta osservare la casa vittoriana in cui si svolge l'azione del film
Psycho per rilevare che il regista si è ispirato all'edificio
dipinto da Hopper in Casa vicino alla ferrovia. I paragoni
possono continuare. Alla base di un altro celebre film di Hitcock, "La
finestra sul cortile", c'è lo stesso occhio che ritrae visioni
intime di case e stanze viste dall' esterno, così spesso ricorrenti
nei dipinti di Hopper.
Nel
corso degli anni Hopper ottenne diversi successi sia negli Stati Uniti
che nella sua amata Europa che fu per lui fonte di ispirazione.
Edward mori nella sua casa-studio di New York, il 15 maggio 1967. Un
anno prima aveva dipinto la sua ultima opera, "Due attori".
L'olio si può considerare un vero e proprio testamento artistico:
sulla scena di un teatro, sotto la luce intensa dei riflettori, due
attori in costume che hanno tutte le fattezze di Edward e Jo si inchinano
nel salutare gli spettatori. Era il suo modo di congedarsi dal pubblico,
insieme alla sua compagna, e di paragonare la vita a una commedia nella
quale ognuno di noi recita il proprio ruolo; il suo era stato quello
dell' artista.
Scriveva
Nietzsche che l'arte nasce dall'unione di due elementi: un grande realismo
e una grande irrealtà. Edward Hopper li possiede entrambi, e nel
grado più alto. Il suo realismo è evidente. Prende forma
nei suoi quadri un' America non letteraria e senza mitologia, che porta
i segni di un' età contemporanea, anche se vagamente fuori moda:
niente grattacieli, automobili, fabbriche, ma binari della ferrovia, case
coloniche di legno bianco con i loro tetti a triangolo, mansarde vittoriane
coi loro comignoli, fari sulla costa atlantica. La "scena americana"
che dipinge comprende oggetti comuni e luoghi familiari: distributori
di benzina, caffè, drugstore, negozi con le vetrine illuminate,
uffici, stanze d'appartamento e camere d'albergo in cui compaiono una
o due figure.
Ma ancora più evidente del realismo è l'irrealtà
delle sue immagini. Hopper ha trasformato New York in una Tebaide di eremiti,
in una città deserta, immersa in una luce geometrica.
I paesaggi di Hopper sono disabitati, le sue strade cittadine sono sottratte
a ogni forma di lavoro e di funzione. Un faro su una collina, il tetto
di un granaio, un binario e un passaggio a livello che attraversano la
campagna, una coppia di fronte a una casa: tutto è fermo. Non sono
previsti atti, e i pochi attori non hanno copione da recitare.
Da cosa dipende questa irrealtà? I critici hanno parlato di solitudine.
Certo, Hopper ha dipinto la solitudine dei luoghi solitari e, più
ancora dei luoghi che dovrebbero essere affollati. Ha dipinto le strade
di Manhattan con i negozi chiusi e le tende delle case abbassate; rotaie
su cui non corre nessun treno e pompe di benzina senza una macchina intorno
(i futuristi avevano cantato l'automobile, Hopper dipinge un distributore
inutile, un'energia priva di scopo).
Si susseguono, nei suoi quadri, locali senza avventori e teatri senza
pubblico. E, ancora, interni d'albergo vuoti, dove una donna siede su
un letto sola; stanze con viaggiatori malinconici, che si attardano nella
partenza; bistrot in cui gli ultimi nottambuli consumano una bevanda amara.
Eppure non è solo la solitudine il significato fondamentale delle
opere di Hopper. E non perché non ci sia. Al contrario, perché
pur esistendo, è un argomento a latere.
L'artista stesso ha detto, alludendo all'interpretazione delle sue opere:
"Si parla troppo di solitudine". E si capisce poco di lui, se
ci si limita a leggere la sua pittura solo in una prospettiva intimista.
La pittura di Hopper è piuttosto il tentativo di rappresentare
i fondamenti della natura e dell’uomo. Lo sguardo che getta su figure
e cose è più simile a quello di Emerson che non a quello
di Freud e Jung, che pure conosceva. E' uno sguardo che, sotto le apparenze
mobili e mutevoli, vuole cogliere l'essenza, l'immutabile, ciò
che non può non essere.
Emerson scriveva "I fondamenti dell'uomo non sono nella materia,
ma nello spirito. L'elemento dello spirito è l'eternità".
E ancora "La natura visibile deve avere un aspetto spirituale. Possiamo
arrivare a conoscere il senso primo delle cose eterne della natura: così
il mondo sarà per noi un libro aperto, e ogni forma significherà
la sua vita nascosta e la sua causa ultima". Ed infine "Adamo
ha chiamato la sua casa cielo e terra; Cesare l'ha chiamata Roma; tu forse
chiami tuoi la bottega di un calzolaio, cento acri di terra, la soffitta
di un letterato. Anche il tuo dominio è grande come il loro. Costruisci
dunque il tuo mondo. Quando conformerai la tua visione alla pura idea
della tua mente, ti si riveleranno le sue grandi proporzioni”. Hopper
cercava la "visione originaria" che tende a corrompersi e che
l'artista lotta per esprimere intatta nell' opera. Questo concetto di
visione si può avvicinare a quel "senso primo", a quel
"libro aperto del mondo" di cui parlava Emerson, Hopper dipinge
un'ora eterna, cerca l'ora squisita di Verlaine, in cui un senso di riconciliazione
sembra avvolgere tutte le cose. O la quiete di Goethe: un'immobilità
senza suono, quando tacciono i rumori della valle, e il riposo della natura
ha qualche cadenza del riposo eterno. E' questo momento oltre il tempo
e la realtà che Hopper aveva in mente. E' un momento che può
assumere accenti di solitudine e di inanità. E' però soprattutto
un momento in cui le cose quotidiane non sono più strumenti ovvi
ma segni misteriosi.
Come il faro e la casa sulla collina, perfetti nel loro essere come forme
originarie colte nella loro "vita nascosta" e nella loro "causa
ultima", portano impresso il sigillo dell'eternità. La luce
che li avvolge non è il chiarore atmosferico, ma una luce che non
conosce variazioni. La sua genialità è stata quella di capire
che, per alludere all'aspetto spirituale della natura visibile, non occorrevano
soggetti solenni, temi nobili. Bastava un passaggio a livello, una casa,
un tetto.
La commedia
di Hopper si svolge in un atrio d'albergo, ai margini di un bosco, nei
vagoni di un treno, in un
hotel vicino alla ferrovia. Cose trascurabili, di per sé. Ma che,
grazie a uno stile incentrato sull'essenzialità e sulla sintesi,
rivelano le loro grandi proporzioni (nascoste).
Il mondo delle forme prime Hopper lo trova a Cape Cod, a Cape Elizabeth,
a Two Lights, tra i fari della costa atlantica e i tetti di Washington
Square. Gli basta, apparentemente, poco: una balaustra ideale, che allontana
l'immagine dal primo piano; un un'angolatura prevalentemente obliqua e
dinamica, che sottolinea la distanza tra chi vede, ed è immerso
nel flusso del divenire, e ciò che è visto, che si staglia
immobile sullo sfondo.
E' allora, in quell'intuizione vertiginosa, che la visione diventa assoluta.
Ed è allora che l'immagine può apparire in una luce abbagliante,
trionfale, o al contrario intridersi della malinconia di chi teme, nella
vita, e nell'essere stesso, un'assenza di significato.
Più che per la mancanza di compagnia, certe figure di Hopper soffrono
per la mancanza di un senso da dare alla realtà. Gli alberghi e
i binari ferroviari, così ricorrenti nelle sue opere, sono simboli
di una condizione di straniamento e di esilio. Non è un caso che
le immagini più solari, più felici, siano quelle in cui
l'uomo non compare, e in cui la luce crea un ordine maestoso, nella tavola
pitagorica della natura.
Hopper immerge i suoi personaggi in una rarefatta desolazione, ne ritrae
la solitudine esistenziale. Nel mettere al centro la figura umana in spazi
archetipicamente americani, come strade deserte, bar, stanze d'albergo,
scenari del New England. Hopper cerca uno scavo della soggettività.
Tutto nei suoi quadri è immobile, cristallizzato sospeso. Immerso
nel silenzio, Hopper racconta il mistero, ma senza l'aria intellettualistica
di capirne le ragioni. I quadri di Hopper si possono considerare da molte
angolature. C'è il suo modo modesto, discreto, quasi impersonale,
di costruire la pittura. Il suo uso di forme angolari o cubiche,non inventate,
ma esistenti in natura); le sue composizioni semplici, apparentemente
non studiate; la sua fuga da ogni artificio dinamico allo scopo di iscrivere
l'opera in un rettangolo. Tuttavia ci sono anche altri elementi del suon
lavoro che sembrano aver poco a che fare con la pittura pura, ma rivelano
un contenuto spirituale. C'è ad esempio l'elemento del silenzio,
che sembra pervadere tutti i suoi lavori più importanti qualunque
sia la loro tecnica. Questo silenzio o, come è stato detto efficacemente,
questa "dimensione d'ascolto", è evidente nei quadri
in cui compare l'uomo, ma anche in quelli in cui ci sono solo architetture.
Conosciamo tutti le rovine di Pompei, dove furono ritrovate persone sorprese
dalla tragedia, "fissate per sempre" in una azione,( l'uomo
che fa il pane, due amanti che si abbracciano, una donna che allatta il
bambino) raggiunte improvvisamente dalla morte in quella posizione. Analogamente,
Hopper ha saputo cogliere un momento particolare, quasi il preciso secondo
in cui il tempo si ferma, dando all'attimo un significato eterno universale.
I suoi dipinti catturano quella che l'artista chiamò la soffocante
e pacchiana vita delle cittadine americane e la triste desolazione dei
paesaggi suburbani, che spasso trascendono la realtà, invitando
lo spettatore a riferirsi a concetti più universali.
Hopper riteneva che l'obbiettivo di un artista fosse catturare l'essenza
della vita quotidiana e riprodurre la vita interiore delle persone ordinarie:
la sua sfida era riuscire a trasportare sulla tela l'autenticità
della visione. Questa sua ambizione era riassunta dalle parole di Goethe
che egli portava sempre con se nel portafogli: "Riprodurre il mondo
fuori da me, coi mezzi del mondo che è dentro di me". Per
vent'anni fu costretto a guadagnare lavorando come illustratore per riviste,
libri e pubblicità ma amante dell'arte del non detto, odiava dover
disegnare qualcosa che fosse completamente intelligibile. L'inizio della
sua fortuna come artista concise con il suo matrimonio, fortunato anch'esso,
con la donna che fu la sua unica modella e che tenne un diario per tutta
la vita, preziosa fonte d'informazione dei lavori del marito. Come Degas,
egli considerava il nudo non un ideale estetico di purezza, ma una rappresentazione
fisica dell'intensità psicologica. Nella donna svestita illuminata
in pieno dalla luce, A woman in the sun, riecheggia la tensione
muscolare estremamente espressiva propria dei nudi di Degas. Da Degas
e da Manet, inoltre, derivò l'idea d'immagine che richiede a chi
guarda un interpretazione che si presti a più letture. L'etichetta
di realista, che un critico gli cucì addosso dopo le sue prime
esposizioni del 1926, gli rimase attaccata tutta la vita, anche in tempi
in cui il realismo non nutriva grande stima, considerato un genere per
le masse. Ma può Hopper essere considerato un realista in senso
stretto? Il suo occhio cancella i dettagli, la sua pittura procede per
sottrazione. Acuto osservatore della vita di tutti i giorni, Hopper ha
dipinto opere che sono al centro dell'opposizione tra l'immanente e il
trascendente, tra i pensieri e la realtà, la luce e l'ombra, l'interno
e l'esterno. Lo stesso artista sottolineò la sua difficoltà
a far convivere interno ed esterno in una sola cornice. Nonostante questo,
ha continuato a dipingere interni visti da una finestra, caratteristica
fondamentale dei suoi dipinti. La finestra lascia entrare la luce, definisce
le zone d'ombra; come una frontiera, lascia vedere il mondo che c'è
dietro e allo stesso tempo permette al mondo di entrare e allo spettatore
di essere complice nello sguardo rubato. Ma il suo significato va oltre
il mero voyeurismo, se si pensa al valore simbolico che acquista quando
fa da tramite tra il mondo reale e quello metafisico. Possiamo vedere
dentro le stanze, ma non possiamo sapere cosa i loro abitanti vedono dalle
loro finestre. Le figure di Hopper leggono, aspettano, guardano, sentono
il sole sulla pelle. Come le figure di Manet, spesso appaiono consumate
dalla loro interiorità, dal loro stesso essere. Hopper stesso non
era estraneo allo stato che descriveva - ancora non si è chiarito
se soffrisse di depressione oppure no - ma nei suoi dipinti non c'è
niente che riconduca alla sua presenza, niente che guidi la nostra attenzione.
E come i personaggi dei quadri, anche lo spettatore si perde nell'oggetto
della sua contemplazione. I dipinti di Hopper non rappresentano eventi
reali, ma un mondo immaginato dall'autore su cui egli ha il totale controllo,
concepito e ordinato da lui per creare l'illusione di realtà. Il
suo desiderio era di raggiungere un alto grado di verosimiglianza, offrendo
la minor quantità di informazioni. Come scrisse Degas: "Si
riproduce solo quello che è necessario". Hopper, che studiò
a lungo l'artista francese, offre semplicemente un momento congelato nel
tempo e lascia che lo spettatore crei una sua propria narrazione:
in Office at night, un uomo e una donna sembrano evitare i loro
sguardi: che cos'è successo? E che cosa succederà dopo?
Le
situazioni di tutti i giorni diventano nelle mani di Hopper qualcosa di
nuovo e di misterioso. In Automat sembra che nulla accada: una donna siede
in una lavanderia, fissando il vuoto. L'espressione del volto non è
mai significativa nei personaggi di Hopper, l'atmosfera e l'umore sono
dati dalla luce e dall'ombra, dalla posizione dei corpi e dai particolari
che contribuiscono a creare un tempo emozionale.
In Exscursion in to Philosophy del 1959, un uomo fissa il pavimento
seduto sul letto, accanto ad una donna poco vestita rivolta verso il muro,
sul letto è poggiato un libro, il nome del quadro ci dice che si
tratta di Platone, ma l'uomo sembra completamente estraniato e non a causa
del libro. Hopper disse commentando il quadro: "Ha letto Platone
piuttosto in ritardo nella vita". Come a dire che, per certe cose,
la filosofia non offre consolazione.
Così
Hopper esprime il dualismo della condizione umana e dell'universo stesso.
Personaggi che si muovono nel mondo confusionario che tutti conosciamo,
congelati in un eterno istante li vede però presi dalle loro riflessioni
interiori. La desolante malinconia che i paesaggi e le opere di Hopper
ci infondono suggeriscono l'esistenza di due universi paralleli che chiudono,
su entrambi i fronti, i suoi abitanti, in una morsa che esprime tutta
la triste crudeltà della vita.
Entrando
più a fondo nei pensieri dei protagonisti di Hopper scorgiamo il
loro mondo interiore, che in seguito gli artisti della tela cinematografica
metteranno in scena, penetrando le utopie e le speranze dell'essere umano.
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